Workshop

WORKSHOP CITTA’ METICCIA* 8 – 13 novembre 2010

*Metropoliz, via Prenestina 913

In collaborazione con gli abitanti di Metropoliz, Blocchi Precari Metropolitani, Popica Onlus, Laboratorio Tipus, Atelier Danza Montevideo, Trastevere 259, In Iride Sfoggio, Irida, Associazione Cantieri Comuni

* *

Si è proposto agli studenti un workshop di auto-recupero all’interno della città meticcia di “Metropoliz”, una delle più interessanti occupazioni a scopo abitativo della capitale, in cui coabitano circa duecento persone provenienti da diverse regioni del mondo: Perù, Santo Domingo, Marocco, Tunisia, Eritrea, Sudan, Ucraina, Polonia, Romania e Italia. Il luogo è una grande architettura industriale che fino a pochi anni fa ospitava il ciclo di produzione della Fiorucci, una importante ditta di affettati e insaccati oggi trasferita a Pomezia.
La fabbrica è stata occupata nel marzo del 2009 dai Blocchi Precari Metropolitani, una delle organizzazioni che a Roma opera attivamente per rispondere al problema dell’emergenza abitativa, in collaborazione con Popica Onlus che si occupa delle famiglie rom con cui si è svolto il workshop dello scorso anno.

L’obiettivo formativo del workshop era quello di far conoscere una situazione abitativa e sociale altamente complessa e di sperimentare, attraverso l’azione sul campo e la relazione diretta con gli abitanti, una fase della trasformazione creativa di un edificio industriale dismesso.

Altri obiettivi:
inventare architetture e dispositivi creativi per partecipare direttamente alle trasformazioni già in atto ascoltando i desideri di futuro degli abitanti.
Conoscere le storie di vita e di viaggio, avvicinare le diverse culture tra di loro e con la nostra.
Inventare dispositivi relazionali con cui sprigionare l'autorappresentazione e la risoluzione dei conflitti.
Costruire insieme alle persone del posto un filo immateriale che tesse tra le diverse famiglie una storia comune di condivisione delle loro culture e di solidarietà e unione nella costruzione del loro luogo di vita.


edouard glissant "poetica della relazione",
Noi reclamiamo per tutti il diritto all’opacità.
Chiamiamo dunque opacità ciò che protegge il Diverso.
Il consenso generale alle opacità particolari è il più semplice equivalente
della non-barbarie».

Estetica della terra? Nella polvere famelica delle Afriche? Nella melma
delle Asie inondate? Nelle epidemie, negli sfruttamenti occultati, nelle
mosche ronzanti sulla pelle dei bambini scheletriti? Nel silenzio ghiacciato
delle Ande? Nelle piogge che sradicano le favelas e le bidonville? Nella
pietraia e nella boscaglia dei *bantustan*? Nei fiori attorno al collo e
negli *ukulele*? Nelle baracche di fango che coronano le miniere d’oro?
Nelle cloache delle città? Nell’aria sconvolta delle terre aborigene? Nei
quartieri a luci rosse? Nell’ebbrezza del cieco consumo? Nel cappio? Nella
capanna? Nella notte senza illuminazione?
Sì. Ma estetica del rovesciamento e dell’intrusione. Trovare dei febbrili
equivalenti per l’idea “ambiente” (che io preferisco chiamare “l’intorno”) e
per l’idea “ecologia”, che sembrano così oziose in questi paesaggi della
desolazione. Immaginare forze che sanno di brace e di sciroppo dolce, per
l’idea di amore della terra, che è così ridicola, o che spesso fonda
intolleranze tanto settarie.
Estetiche della rottura e del raccordo.
Poiché questo è l’essenziale, e si è detto quasi tutto quando si è fatto
notare che non si tratterebbe in nessun caso di trasformare nuovamente una
terra in territorio. Il territorio è una base per la conquista. Il
territorio esige che vi si pianti e vi si legittimi la filiazione. Il
territorio si definisce per i suoi limiti, che bisogna estendere. Una terra
è ormai senza limiti. Per questo vale la pena di difenderla da ogni
alienazione».