venerdì 19 novembre 2010

Terremoto a Metropoliz (di Luca Pennelli)

Interazione con i bambini durante la riproposizione del disegno di Piazza del Campidoglio

“Dove ci troviamo? Cosa possiamo fare in questo posto? Dove sono le persone che vivono qui? Il primo impatto è stato decisamente difficile, una realtà ben diversa da quella che siamo abituati a vivere, eppure molto vicina a tutti noi: una “città” circoscritta in uno spazio ristretto, che accoglie una complessa varietà culturale dalla quale scaturiscono molteplici rapporti che contribuiscono a delineare i caratteri formali e l’utilizzo di uno spazio fatiscente che si connota giorno dopo giorno.
Avevo forti dubbi sul fatto che avremmo completato quanto ci eravamo prefissati, forse perché non comprendevo pienamente l’esperienza che stavo iniziando e il contesto in cui mi sarei trovato. E’ apparsa evidente la necessità di creare spazi pubblici che fossero utilizzabili dall’intera collettività, una mancanza che è sembrata uno dei fattori decisivi nella separazione dei vari gruppi culturali che convivono all’interno della struttura. La piazza è stata vista come uno dei punti critici su cui intervenire, con l’obiettivo di renderla un centro catalizzante della comunità, che evidenziasse un rapporto tra questa “piccola società meticcia” e la città.
Fin da subito è stato chiaro quale fosse la componente fondamentale di questa particolarissima società, il punto di partenza di un qualunque intervento all’interno di tale contesto: i bambini, il vero motore della comunità, una “comitiva di piccoli” incredibilmente eterogenea, al tempo stesso capace di affievolire tale varietà e di mostrarsi particolarmente unita; un “terremoto” in un deserto privo di particolari emozioni, in grado di plasmare lo spazio vissuto circostante, così da creare innumerevoli oasi felici e vitali.
Il sisma investe lo spazio, incontrollabile e distruttore nella sua ingenuità, al tempo stesso partecipe e responsabile nella ricostruzione dello stesso, contribuendo a delinearlo e rendendolo “suo”. La molteplicità culturale scompare in un attimo, soppiantata dalla voglia comune di generare un’opera che caratterizzi questo spazio, conformandolo come uno dei fattori in grado di generare una stimolazione emotiva dell’intera comunità. Il disegno prende forma, e la curiosità si rivela in mille domande: “perché lo fate?! Posso aiutarvi?!”. Ed ecco che tutto questo attira l’attenzione degli adulti che fino ad allora si erano dimostrati “poco attenti”, e si rendono conto dell’importanza che sta assumendo quella piazza, della forza con cui “i piccoli” e “i grandi” la stanno realizzando, e nasce la voglia di vederla completa, di sentirla parte di loro e parte di noi. Si sviluppa una dimensione sociale di appartenenza a quel luogo, una consapevolezza della propria identità collettiva che prima era nascosta dietro le diversità culturali; ora si manifesta quell’unico organismo omogeneo che condivide le molteplici esperienze di un’esistenza ormai passata, e vive il presente con incredibile coesione e serenità.

Luca Pennelli

1 commento:

  1. ciao Luca, il saggio è ottimo e scritto veramente bene. Molto importante identificare l'intervento sulla piazza come catalizzatore, qualcosa che possa generare un ripple effect. Ne riconosci il forte valore simbolico e la capacità di generare senso di appartenenza e di plasmare l'ambiente circostante, di essere 'fatto urbano'.
    Continua a ragionare sulla questione 'bambini'... Dire che sono la componente fondamentale della società porta con sé tante implicazioni e rischi, sia dal punto di vista analitico che operativo. Ciononostante capisco quello che dici e condivido in gran parte.
    Attento solo alla conclusione: "coesione e serenità" sono termini un po' azzardati che vanno analizzati nel tempo (ci tornerai?); "coesione" non necessariamente porta a valori positivi (l'estrema coesione di una comunità può portare a escludere completamente chi è al di fuori di essa, comunità può diventare un concetto reazionario); dire "organismo omogeneo" penso sia un errore, penso che ciò che si manifesta come unidirezionato pur condividendo esperienze molteplici sia più una "volontà collettiva". Che ne pensi?

    Ottimo lavoro!

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