sabato 20 novembre 2010

Dentro e fuori (di Martina Pollice)

Ho sentito dire,da una riflessione emersa tra gli studenti,che una delle esigenze del così interessante posto di cui ci siamo curati durante questa settimana, è quella di tirare giù il muro che separa la zona abitata dai rom da quella degli altri abitanti.
Ho sentito,invece,dire da un abitante stesso che i rom hanno come peculiarità caratteriale, a livello individuale,e di conseguenza a livello di massa,quella di una ricerca di "intimità" intesa come autonomia e indipendenza dalle persone che non fanno parte di essi, senza però evitare il contatto e la collaborazione con essi.
Quel muro divisorio è segno distintivo del loro essere,quella postazione all'interno dell'occupazione è il frutto di un insediamento spontaneo che probabilmente non necessita di cambiamento.
Uno studente propone l'abbattimento del muro..ma un abitante non rom,ma che vive la realtà di Metropoliz 24 ore al giorno, ci dice che loro stanno bene cosÏ!
Con questo esempio voglio sottolineare quanto questa esperienza sia riuscita a farmi uscire dalla nostra ottica(occidentale,commercializzata,stereotipata) e a farmi entrare invece all'interno di un punto di vista ogni giorno diverso,contornato dalla conoscenza di modi di essere,vestire,mangiare diversi anche tra di loro.
Bello constatare come davanti a difficoltà ed esigenze siamo stati tutti ugualmente utili e attivi nel rimettere in sesto i due ambienti che avevamo scelto. Ho trovato anche sbagliato l'approccio che all'inizio si stava avendo,parlo dei primissimi momenti, in cui,senza ancora sentire gli abitanti,con gli "occhi da architetto",già sognavamo collocazioni,muri e componenti d'arredo,come se stessimo immaginando la nostra camera.
E' proprio per questo che poi abbiamo dovuto cambiare le nostre posizioni e concentrare l'attenzione su punti fondamentali per la vita lÏ.
Queste realtà sono inserite in un contesto completamente autonomo, quasi una realtà parallela che si può capire solo se la si vive. Mi è capitato di aver dovuto,forzatamente all'inizio, naturalmente alla fine,ricercare soluzioni con un occhio diverso dal mio,e questo è stato sorprendente. Sorprendentemente riuscita è stata l'integrazione di queste diversità e interessante il confronto tra la "realtà esterna" e quella di Metropoliz,che si presenta come un nucleo a sé,in cui ci si può sentire forse più padroni,per le minori dimensioni e per la possibilità di auto-gestire e auto-costruire i proprio spazi.
La mia più grande conquista è stata la possibilità di osservare diversità che dialogano tra loro e che arricchiscono sicuramente chi ne viene a contatto.

2 commenti:

  1. ciao Martina,
    davvero molto brava. Mi piace quello che dici sul muro e condivido in buona parte il tuo parere, anche se mi piace pensare che quel muro, col tempo, verrà giù 'da solo', seguendo il corso naturale degli eventi e obbedendo a una certa 'entropia' di quel grande 'vuoto' urbano che è Metropoliz. E' un processo che potrebbe però portare anche a chiudere l'unica apertura che c'è in quel muro: penso quindi che l'opinione di quello studente (e non soltanto sua) sia in un certo senso lodevole... Voglio dire che non ci poniamo mai neutralmente ma diciamo sempre (anzi: dobbiamo dire) la nostra nel processo di trasformazione urbana... Si cerca sempre un equilibrio tra forze, insieme alle quali (come dici giustamente) bisogna definire un obiettivo... E per raggiungerlo penso si possano sia distruggere che innalzare muri, nulla è sbagliato a priori.
    Che ne pensi? Spero di non averti confuso... Sentiti libera di dirmelo in caso!
    Bene tutto il resto. Mi sarebbe solo piaciuto se avessi tenuto qualche parola in più per argomentare un po' sulla "realtà esterna" (il titolo che hai dato porta con sé questa aspettativa): anche qui parliamo di muri no? E' un dentro/fuori ma anche un dentro/dentro...

    Giorgio

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  2. forse sono stato proprio io a parlare di quel muro, in realtà credo sia proprio un punto sensibile. immaginavo però non di buttarlo giù ma di cominciare con un buco da cui guardarsi, poi le ragazze di "cantieri comuni" che hanno predisposto il lavoro con i bambini, hanno aggiunto che magari poteva trasformarsi in un pertugio in cui potevano passare i bambini. insomma solo in seguito, se il processo avesse funzionato e se la scorciatoia avesse tracciato un sentiero e fosse nato un diverso uso dello spazio al di là, allora quel muro sarebbe venuto giù da solo. A volte possiamo entrare in goco e provare ad innescare processi con piccole azioni architettoniche. magari piccole forzature. non bisogna per questo pensare di non essere politically corrects o non aperti alla partecipazione.
    quando dici "Mi è capitato di aver dovuto,forzatamente all'inizio, naturalmente alla fine,ricercare soluzioni con un occhio diverso dal mio,e questo è stato sorprendente. "
    immagina che può essere anche reciproco
    comunque mi è piaciuto molto

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