sabato 20 novembre 2010

THE FOREFINGER, il dito indice (di Laura Criscuolo)

Quattrocento parole. Un paio di migliaia di lettere. Poco, forse.
O forse no.
Molto bene. Cerchiamo di farla lealmente questa cosa. Solo io e un virtuale foglio bianco, sul quale vorrei dare forma al principale interrogativo che mi è rimasto.
Dove andrà a finire quello che abbiamo fatto?
Non ho risposte. Solo un pensiero. Non sarà quando torneremo li tra un mese, tra un anno, tra dieci e troveremo (chissà) ancora al suo posto la libreria dipinta di azzurro e giallo che potremo dire di non aver fallito.
Per quanto mi riguarda, non è quando le cose rimangono aI loro posto che si ottiene un risultato. Il successo di questa piccola “missione” sta probabilmente nell’atto dell’aver mischiato, smosso, spostato, incuriosito. Menti, coscienze, pensieri. Vite.
Al di là dei piccoli problemi organizzativi che ci sono stati (riguardanti materiali, divisione dei ruoli, tempistiche, budget, scelte progettuali) e che, probabilmente, se ci sarà un secondo round potranno, e dovranno, essere meglio gestiti a monte, credo che tutti noi con i nostri obbiettivi, in una settimana, ci siamo uniti e trasformati in un enorme forefinger che ha premuto con forza sul pulsante “start” di una macchina dimenticata da tempo, ma ancora funzionante. Con questo voglio sottolineare l’importanza di aver dato il via ad un progetto, seppur di modeste dimensioni, che se messo sui binari giusti potrebbe davvero sfociare in qualcosa di moto interessante.
La differenza con altre precedenti esperienze di cui sono stata protagonista o semplicemente spettatrice, sta nell’aver cercato una contrapposizione alla chiusura che di solito si verifica in questi casi. Il rischio, quando si opera in questi campi, è di creare una sorta di “setta” che pretende di gestire il tutto, il prima e il dopo, senza rendersi conto che l’apertura verso l’esterno (nel nostro caso verso la città, i cittadini, le istituzioni) è a dir poco fondamentale se si vuole che il processo non venga interrotto.
Che Metropoliz e i suoi abitanti diventino quindi parte di un ingranaggio più complesso. Ovviamente, non ne vedo ancora l’esatta natura finale. Ma vedo delineato il processo di trasformazione per giungervi. Architettonico, magari. Certo, io sono di parte. Ma ho provato l’indescrivibile piacere del “costruire con materiale umano”. Ho toccato con mano quanto questo tipo di approccio possa dare grandi risultati. Si è venuta a creare una curiosa e forte interdisciplinarietà, fondamentale per poter continuare al meglio.
Magari con una migliore organizzazione, ma sicuramente con lo stesso spirito.

3 commenti:

  1. cara Laura,
    il dito indice che preme sul pulsante start di una macchina che era semplicemente in stand-by è una buona metafora del nostro intervento, catalizzatore per pressioni, volontà e risorse che erano già sul posto e possibilmente per eventi futuri.
    Per ciò che riguarda l'apertura alla città, pensi sia già avvenuta? O la auspichi? La volontà degli abitanti pensi ci sia?
    Dici 'architettonico'... cosa intendi? Mi piace che dici "processo di trasformazione", ma penso che in questo, soprattutto se parli di risorse umane, rientri sia la produzione di spazio che la produzione di conoscenza... forse 'architettonico' non è dunque il termine giusto, anche essendo di parte, eheh!

    Giorgio

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  2. POSTO LA RISPOSTA CHE LAURA MI HA INVIATO VIA MAIL (GRAZIE!)

    Caro Giorgio,
    riguardo la prima domanda che mi poni (l'apertura alla città) sicuramente credo che il percorso sia estremamente lungo e complesso. Siamo ancora al livello embrionale. Tuttavia mi è sembrato che la volontà di raggiungere questa apertura sia molto evidente. Il limite da superare riguarda probabilmente il luogo che ha partorito questa intenzione, e cioè la stessa Metropoliz. Fondamentale è infatti che si verifichi anche il contrario. Auspico quindi, per risponderti in maniera completa, alla costruzione di una strada a doppio senso, dove anche la città mostri il desiderio di aprirsi alla realtà sociale e materiale che noi abbiamo conosciuto. Gli abitanti (sia di Metropoliz che della città che la circonda) sono, ovviamente, coloro che potrebbero permettere tutto questo. Potrebbero, nessuna certezza. Di vitale importanza per questo riuscire a fornire stimoli e motivazioni perchè questo "progetto" venga seriamente preso in considerazione da entrambe le parti.

    Credi che il termine architettonico non sia adatto? Forse hai ragione. Eppure l'architettura è stato il punto di partenza. Si è trasformata, plasmata, ridotta e ingigantita al punto che in alcuni momenti non l'abbiamo più riconosciuta. Sembrava essere diventata altro. A questo mi riferivo parlando di interdisciplinarietà. Ma li non eravamo filosofi nè linguisti. Eravamo architetti. Per questo, permettendole sempre e comunque di trasformarsi come è stato, ho visto nel futuro di questo progetto, ancora una volta, magari sbagliando, l'architettura.

    Grazie...un saluto
    Laura

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  3. wow, che risposta! Chapeau!

    bene bene bene, è bello vedere che ci hai ragionato ulteriormente. Sulla questione 'architettonica' 2-1 per te...

    giorgio

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