venerdì 19 novembre 2010

Giocando al Rialzo

di Giancarlo Curio

Sabato sera, rientrando a casa in una zona di negozi e palazzine dopo la consegna dei lavori del workshop, ho fatto quasi fatica a credere di essere nella stessa città in cui stavo pranzando poche ore prima. Certo il caos, le luci, le vetrine di Viale Marconi contribuiscono alla differenza di sensazioni. Ma forse la differenza più grande è quella di aggirarsi in un luogo che sembra consolidato, quasi arreso al suo uso e al suo destino non modificabile (più per abitudine che per altro), e dall'altra parte aver visto un luogo che è provvisorio, neonato e modificabile, cioè Metropoliz.
L'ex-industria Fiorucci, nel suo essere fatiscente in alcune parti e abitata e “lavorata” in altre, è ricca di potenzialità, come una pagina ancora in gran parte da scrivere. Potenzialità che in qualche modo abbiamo esplorato con il lavoro nelle due aule. Vedere già da subito i bambini impossessarsi delle aule, sfogare finalmente e disperatamente i loro pensieri sulla lavagna è già un buon motivo per riconoscere nell'esperienza una forte utilità.
Dall'altra parte gli abitanti di Metropoliz con cui abbiamo parlato (che probabilmente, vista l'esiguità dei giorni, sono quelli che volevano farsi trovare) hanno espresso più volte la loro volontà di trovare un altro posto dove trasferirsi al più presto.
In un luogo dove la transitorietà e la temporaneità sono auspicati, un lavoro che porta un po' di possibilità e spazi in più per i suoi abitanti ha senso? Oppure è solo un ideale romantico?
Ha senso, come detto, vedendo gli abitanti cooperare e i bambini giocare in questi spazi.
E ha senso pensando alle derive a cui ci porta l'abitudine.
La mia città, L'Aquila, da un anno è stata letteralmente distribuita in piccole new-town (che dovrebbero essere anche queste temporanee) a 5 km da ogni servizio e prive di qualsiasi spazio in comune.
Per me, in una situazione come quella di Metropoliz, che nonostante presenti difficoltà economiche e sociali, vedere gli abitanti che occupano parte della loro giornata nella cura di spazi in comune dedicati (ebbene sì) alla cultura, è motivo di riflessione e anche di speranza. L'uomo è un essere abitudinario, e a L'Aquila gli abitanti ci hanno messo poco a dimenticarsi che serve un luogo dove potersi confrontare, parlare, imparare. Tutto questo nel nome di un “tanto lì ci rimango per poco”.
Anche a Metropoliz forse le famiglie rimarranno per poco, ma è tremendo negarsi delle esperienze con le altre persone, abituarsi a quello che già c'è.
È tremendo perché esiste il rischio di rimanere a un livello più basso di vita ed esperienze, un livello senza via di uscita, e a L'Aquila sta già succedendo.
A Metropoliz, anche con piccoli gesti, abbiamo invece giocato al rialzo.

1 commento:

  1. Bravissimo Giancarlo, molto interessante. Considerare la questione dello spazio pubblico relazionandola alla inevitabile transitorietà dell'abitare è un tema attualissimo ed è ottimo che tu ci abbia ragionato sopra. Considera però che nelle ricostruzioni post-disastro (per quanto L'Aquila sia un'anomalia) entrano in gioco molti altri fattori a complicare il tutto (se fossi interessato scrivimi una mail nei prossimi giorni e ti giro un pdf interessante).
    Come molti altri sei stato un po' troppo lungo nell'introduzione, e ciò ti ha tolto spazio per argomentare il tuo punto chiave, che poteva essere più approfondito. Penso che però getti ottime basi per ragionamenti futuri. Complimenti!

    p.s. se non l'hai già visto dai un'occhiata al pdf su Tarlabasi, Istanbul. Come Metropoliz, è nient'altro che una porta della città (in pieno centro però) per molti immigrati che pensano poi di spostarsi in una situazione più stabile e possibilmente più agiata. Il tema dello spazio pubblico anche lì è centrale (dalle interviste capisci come interagiscono tra loro ecc.)

    RispondiElimina