sabato 20 novembre 2010

Il fardello dell'uomo bianco (di Giorgia Donato)

Ho deciso di prendere in prestito da una poesia di Kipling il titolo della mia “riflessione”; lo scrittore britannico infatti era dell’idea che all’Europa fosse assegnato il compito storico di civilizzare le popolazioni barbare dell’Asia e dell’Africa .La sua poesia era una sorta di propaganda per convincere l’opinione pubblica a sostenere l’imperialismo attraverso l'ideologia della "missione civilizzatrice" che competeva alle nazioni sviluppate e di razza bianca nei confronti dei cosiddetti "selvaggi". (è incredibile quanto certi temi siano tremendamente attuali…)
La domanda però che mi sono posto appena arrivata a Metropoliz è stata se fosse giusto intervenire in maniera così incisiva all’interno di un microsistema che sta nascendo. Certo è stato bello vedere le relazioni che sono sorte tra noi studenti e con gli abitanti di Metropoliz, è stato appagante poter dare loro qualcosa fatto da noi, ma è stato realmente utile?? Forse si, sicuramente lo sarà stato se i semi che abbiamo piantato con il nostro piccolo intervento verranno annaffiati con amore dagli abitanti stessi giorno dopo giorno, lo sarà stato se dal giorno successivo alla nostra partenza le riunioni sono andate avanti e alla sera gli uomini del campo rom hanno proseguito ad incontrarsi dopo il lavoro dandosi appuntamento “al Campidoglio”.
Questo però è un processo che va monitorato nel tempo, per questo trovo giusto portare avanti il progetto, ma questa volta coinvolgendo le persone in un modo diverso. Noi abbiamo mostrato loro la via, ora dovrebbero essere loro a rimboccarsi le maniche, con il supporto e la consulenza di noi “piccoli architetti”, affinché il nostro lavoro non venga interpretato come una settimana di festa e pranzi, ma l’inizio di un processo di crescita e integrazione. Penso che questo scatto in avanti sia indispensabile per loro, e più difficile per noi, affinché non si inneschi nelle due parti una sorta di sussistenza. Faccio un esempio forse banale ma concreto: quando i bambini sono piccoli, vengono imboccati dai genitori, ma ad un certo punto devono prendere la forchetta in mano e capire come usarla; certo era molto più facile per la mamma imboccarlo, insegnargli a mangiare da solo comporta il fatto che dovrà fargli vedere come si fa, dovrà avere pazienza perché ci metterà una vita, dovrà lavare alla fine tutta la cucina, ma avrà la certezza che da quel momento in poi il figlio sarà diventato autonomo!!

2 commenti:

  1. ciao Giorgia,
    bello che tu citi la questione coloniale (o post-coloniale) che è molto pertinente ad ogni operazione di questo genere. Se ti interessasse approfondire ti consiglio "Cultura e imperialismo" di Edward Said, che è un po' la bibbia in quell'area tematica.
    Bene anche che inserisci la nostra operazione all'interno di un processo più lungo. Capisco il perché usi il verbo "monitorare", ma stai attenta perché cadere in una tecnocrazia selvaggia è molto facile, mentre penso invece che ciò che abbiamo fatto ha molto di 'umanistico' (sei d'accordo?).
    Alla fine però, per essere ancora un po' tecnici, cadi un po' in quella che in gergo è chiamata 'patronising attitude', che è tipicamente imperialista, nel senso che implica il 'poter/dover insegnare' a qualcuno che ancora 'non sa'. Sei sicura che abbiamo indicato la via? O forse l'abbiamo capita insieme a loro? Che ruolo ha esattamente il 'piccolo architetto' di cui parli in un processo partecipativo?
    Intendo dire che sicuramente svolgiamo un ruolo di catalizzatori, ma probabilmente 'semplicemente' interpretando l'intelligenza del luogo. O siamo i profeti di un 'verbo'? Che ne pensi?

    Molto interessante comunque, dà molti spunti di riflessione, brava.

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  2. concordo anche qui con quanto detto da giorgio, ti inviterei a sviluppare la riflessione postcoloniale, e anche a capire meglio il tema della reciprocità, prova a invertire per un momento il rapporto tra le mamme e figli. spesso mi sembra che siamo noi a dover imparare tanto da loro, e sono sicuro che loro porteranno avanti quello che abbiamo fatto insieme, e forse gli amncherà magari proprio la festa.
    interessante
    il prof

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