lunedì 22 novembre 2010

La città invisibile (di Valeria Lollobattista)

A uno che arrivi a Metropoliz in un momento qualsiasi, come una mattina piovosa di novembre, capita di vedere delle cose. Il problema, semmai, è arrivarci (non nel senso del trasporto - che pure può essere difficoltoso). E' uno di quei posti in cui si va se si è portati, da qualcuno o da qualcosa, perché ci si può passare davanti anche mille volte senza accorgersi che esiste, a dispetto delle dimensioni.

Dietro un cancello, lungo la via Prenestina, si estende Metropoliz, città a suo modo: con la sua complessità, le sue reti di relazioni, le sue istituzioni; fondata su regole proprie e sostenuta da una sua economia, interna ed esterna. Città parallela, perché esiste un interno e un esterno e un confine più o meno fisico che separa "quelli di fuori" da "quelli di dentro"; città meticcia, città poliglotta, città in (auto)costruzione, città illegale, città-fabbrica, città-casa.

Con queste premesse si capisce che, capitando nella città invisibile, accade di vedere molte cose.

Vedere, prima ancora di imparare, perché aver imparato è già aver digerito - giudicato, in qualche modo. Non mi riferisco soltanto ai pregiudizi, ma anche e soprattutto all'entusiasmo, alla soddisfazione, al valore umano dell'esperienza. Mi sembra che valga la pena regalare tutto ciò all'imperfezione del momento, alla parzialità dell'opinione; mentre quanto visto rimane negli occhi, costruisce consapevolezza, e continua a lavorare - potenzialmente - in tutte le azioni e riflessioni future. Mi interessa aver visto, più di aver tirato somme; mi interessa che la città, entrando a Metropoliz, conosca, ancora prima di trarre insegnamenti.

(La città instabile. Una riflessione aggiunta)

In particolare, vedendo l'invisibile, conosce una condizione di instabilità e una disponibilità alla trasformazione.

Se accogliamo la definizione di A. Amin e N. Thrift ', ci possiamo chiedere cosa succede quando la comunità pianificata incontra qualcosa di diverso, se lo stadio avanzato di definizione e pianificazione che caratterizza la città contemporanea ha la possibilità di confrontarsi con lo stadio embrionale nel quale invece si trova Metropoliz, con il suo carico di potenziale.


Se si pensa di tornare a Metropoliz tra un anno, o anche tra un mese, ci si aspetta di trovare qualcosa di diverso; anche tutto, in linea di principio. A Metropoliz sono possibili cose che fuori appaiono impensabili; ma non è questione di mancanza di regole, che pure sono date, quanto di spazi di possibilità, dovuti proprio ad una certa indefinizione o codificazione incompleta. Naturalmente tutto ciò si amplifica per l'eterogeneità delle persone e il carattere spesso transitorio della loro permanenza a Metropoliz, perciò si può anche immaginare che la tendenza alla codificazione insita nella vita urbana, possa in questo caso conoscere manifestazioni diverse e che l'instabilità diventi alla fine l'unica configurazione stabile, perché la possibilità di trasformazione è accolta già nell'idea di questi spazi, nel loro uso, nel loro significato.



T. Ottaviani, Il cielo in una stanza (Metropoliz, nov.2010)


' A. Amin, N. Thrift Città. Ripensare la dimensione urbana. Ed. Il Mulino – 2005

"La vita urbana è divenuta realmente più pianificata a causa dell'esistenza di varie tecnologie di controllo, in particolare della tirannia dell'indirizzo che prevale nelle società moderne, la città basata sugli imperativi dello stato nazione e sempre più sul commercio, è stata fissata , posizionata, guidata come non lo era mai stata in precedenza. Cartine geografiche, censimenti, codici di avviamento postale, prefissi teleselettivi, targhe automobilistiche e altri mezzi per definire la localizzazione...”





5 commenti:

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  2. riposto quello che avevo scritto primo, avevo dimenticato una parte.

    Cara Valeria,

    il saggio è davvero eccellente. Bene all'inizio quando distingui l'atto di vedere da quello dell'imparare, mi piace molto l'importanza che dai al semplice 'vedere'.
    Ottimo dopo quando cominci a ragionare con la definizione di Amin. Il fatto che tu colga la disponibilità estrema alla trasformazione da parte di spazi che non sono ancora del tutto codificati è fantastico: direi che il tutto può collegarsi al concetto di 'rizoma' introdotto da Deleuze e Guattari (nell'introduzione a Millepiani, 1980 mi sembra). Non lo chiamerei 'instabile' quindi, anche se capisco cosa intendi. La struttura del rizoma ha come peculiarità il fatto di essere 'aperta' e 'resiliente' verso pressioni esterni. Può essere modificabile senza che la sua esistenza venga compromessa. E il suo grado di codificazione determina appunto quanto possa essere considerata 'aperta'.
    Non è un caso che il concetto di resistenza (guarda magari il plateau che si chiama Nomadology: the War Machine) è per loro due un continuo susseguirsi di operazioni 'significanti' (dai un'occhiata al post di Clara e a un altro plateau "On several regimes of signs"), pre-significanti, contro-significanti e post-significanti che ogni volta decodificano e recodificano lo spazio (o meglio, quello che loro chiamano il diagramma, riferendosi anche a Foucault).
    L'abilità di uno spazio come Metropoliz a rimanere aperto e a poter subire influenze esterne senza sparire rappresenta appunto la sua resistenza alla città pianificata, e ne identifica il suo enorme potenziale. Sei d'accordo?

    Fantastico davvero,
    Giorgio

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  3. molto profondo
    mi è piaciuta soprattutto questa tua frase
    "Mi interessa aver visto, più di aver tirato somme; mi interessa che la città, entrando a Metropoliz, conosca, ancora prima di trarre insegnamenti."
    credo sia giusto in luoghi come questo attendere, entrare sgomberi da pregiudizi e sgomberi anche dal dover dare giudizi immediati o affrettati.
    forse non avrei detto "insegnamenti", quelli comunque entrano in te nell'atto stesso di vedere, direi piuttosto "giudizi definitivi"
    anche il concetto di instabilità puà essere riferito al giudizio.
    comunque complimenti, mi è piaciuto

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  4. dimenticavo di complimentarmi con giorgio i riferimenti che ti ha dato su deleuze, guattari e foucault. sono concetti davvero fondamentali.
    bellissima anche la foto

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  5. Sapevo che l'ultima parte dell'articolo era meno sviluppata: forse il concetto aveva ancora bisogno di un po' di lavoro; ma, rifacendoci anche qui alla struttura aperta del rizoma, possiamo dire che la mia riflessione non può che trarre beneficio da stimoli esterni!
    @ george:
    Trovo davvero interessantissimo il riferimento che mi hai proposto, credo che mi porti a dirigere una riflessione che sento ancora un po' grezza nella direzione giusta.
    Mi chiedi se sono d'accordo nel considerare la capacità di uno spazio come Metropoliz a rimanere aperto e a poter subire influenze esterne senza sparire come la sua resistenza alla città pianificata...
    Sicuramente la trovo un'idea molto affascinante, ma devo ammettere che non so se posso dirmi d'accordo. La questione che rimane aperta per me riguarda l'opportunità di considerare o meno Metropoliz versus la città pianificata, di auspicare la resistenza dell'una nei confronti dell'altra. Era un po' quello che cercavo di dire, riflettendo sull'importanza del 'vedere'. Tu che ne pensi? Tra l'altro, come dice il prof, forse quello che scrivo dopo è già un giudizio...
    @ il prof:
    Critica accolta sulla questione "anche il concetto di instabilità puà essere riferito al giudizio".

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