sabato 20 novembre 2010

Esiste un progetto senza avere fermi i fini (di Francesco Cusani)

Confrontandomi con questa nuova esperienza mi sono subito reso conto di come la curiosità e l’interesse con i quali mi aveva colpito si stavano trasformando in confusione.
Se il primo impatto con il luogo fu “drammatico”, poichè niente appariva come era stato descritto, o quantomeno, come me lo ero inizialmente immaginato, da una parte sentivo sia una grandissima voglia di dedicarmi fisicamente a Metropoliz, che una consapevolezza delle difficoltà che si legano ad operare in un contesto come questo.
Mi domandai, così, se fosse possibile avere un progetto senza avere fermi i fini.
In cuor mio la risposta apparve subito sincera, ma ora che ho avuto la possibilità di far sedimentare le sensazioni e le emozioni non ho paura a rispondere che tutto ciò è possibile.
Credo che se i fini sono variabili, perché si adattano continuamente alle circostanze ed alle situazioni, il “viaggio” diventa molto più interessante ed efficace ai fini di una nostra – riferendomi a tutte quelle persone alle quali mi sono affiancato in questi giorni - crescita personale. I fini devono essere indirizzi che segnano la strada da percorrere con l’intesa che può darsi che il tracciato cambi perché cambiano le circostanze che si attraversano. Il percorso diventa quindi tortuoso, oscillante, e nel caso capitasse di sbagliare bisogna essere capaci di ammetterlo e di tornare indietro per riprendere la strada giusta.
Ciò che è importante non è quindi il risultato ma il percorso che si compie per cercare di raggiungerlo, accogliendo tutti gli apporti positivi che durante il viaggio s’incontrano, ponendosi di fronte agli ostacoli con spirito inclusivo: il processo è il vero scopo!
Non la bellezza quanto la tanto ricercata “gloria” rappresentano quello che più di tutto conta, e che più di tutto dobbiamo desiderare, ma il processo che le produce.
Perciò bisogna dare importanza a tutti i punti di vista possibili (senza prestabilire che un punto è migliore di un altro) come bisogna compiere diversi tentativi, prove e verifiche, al fine di raggiungere la nostra meta, mettendo in evidenza la situazione con la quale ci confrontiamo, facendo emergere i suoi squilibri, così da permetterci di capire come e fino a che punto può cambiare senza snaturarsi, anche in modo da raggiungerne di nuovi.
La CONFUSIONE è proprio la condizione da cui secondo me bisogna partire: una condizione fatta di tanti stati d’animo contraddittori fra loro. Serenità e tensione, calma ed energia, lentezza ma anche rapidità.

2 commenti:

  1. ciao Francesco,
    ottimo... Descrivi bene l’approccio verso una realtà complessa e l’impossibilità di scegliere un traguardo, che si traduce in un progetto per approssimazioni successive. Interessante il fatto che usi la parola ‘viaggio’, e anche che poni la Confusione come conditio sine qua non. Sarebbe interessante che tu sviluppassi tutto ciò in futuro: attento però a non finire invischiato in dibattiti post-moderni dove spesso la complessità (o confusione) porta davvero a poco (spesso all’affermazione dell’impossibilità di intervenire).
    Quello che dici è molto vicino alla ‘teoria’ (che proprio teoria non è) dell’Action Planning. Per ora ti ho trovato in rete questo: http://www.humanitarianforum.org/data/files/resources/728/en/Action-Planning.pdf . Dagli un’occhiata prendendo tutto con le molle, nulla è un dogma. Se ti va nei prossimi giorni ricordami di mandarti un diagramma che ti potrebbe interessare (ora non ce l’ho a portata di mano).
    Complimenti.

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  2. ciao Giorgio,
    innanzi tutto volevo ringraziarti per il documento che mi hai passato! Non male…
    Ho ri-visto in questa "teoria", alcuni dei principi e delle tecniche di progettazione e partecipazione che avevo studiato affrontando i temi sviluppati da C.Alexander.
    Sono particolarmente d'accordo quando dici che tutto ciò debba essere preso con le molle: credo, infatti, che bisogna considerare ogni volta sia il contesto con il quale ci confrontiamo, sia il fatto che non sempre si può ridurre la partecipazione e la progettazione ad una scaletta di situazioni ed azioni.
    Questo non vuol dire però che questa teoria non possa essere un’ottima base di partenza dalla quale le diverse situazioni possono muoversi e svilupparsi, anche autonomamente.
    Ripensando ora alla settimana di Workshop credo che proprio nella Confusione di cui parlo, alcuni tra gli argomenti tracciati dall'Action-Planning hanno avuto modo di svilupparsi. Ovviamente in modo naturale e spontaneo, poiché non si è trattato (nella maggior parte dei casi) di azioni pianificate a tavolino nel loro svolgimento come nella loro "intensità".
    Voglio solo sottolineare, quindi, come secondo me sia necessario un certo grado di libertà per far si che queste teorie riescano ad apportare il meglio in termini di progettazione, e di partecipazione appunto.
    Per quanto riguarda gli amici post-modernisti, credo che non riescano a trovare posto in un dibattito come questo.
    Come dici te, il rischio è reale, ma non se la complessità è accompagnata da una forte “voglia di fare” (a tutti i livelli). Penso che tramite questa riusciamo a regolare le nostre azioni adattandole alle situazioni che ci si propongono.
    Quello che veramente si è sviluppato nella nostra settimana a Metropoliz è stato un processo di azione-reazione, di “pianificar facendo”, in cui ad ogni situazione “complessa” corrispondeva una risposta pratica, nata dal desiderio di avviare un processo, già acceso, che non dia adito ad alcun dubbio sulla possibilità di intervenire. Anche e soprattutto in situazioni e contenti come questo.
    Comunque l’attenzione, anche in queste situazioni, non è mai troppa.
    Grazie per la risposta!

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