Lunedì, dopo la presentazione del workshop, ero preoccupata! Ingenuamente mi immaginavo un mondo totalmente diverso da quello che ho imparato ad apprezzare durante la settimana di permanenza a Metropoliz. Quello che mi ha stupito di più inizialmente è la forte organizzazione alla base di tutto; le regole che la comunità si è imposta, a cominciare dalla partecipazione obbligatoria alle assemblee, fino ad arrivare alla coerente organizzazione del lavoro e del modo di assegnazione alle famiglie di luoghi per la costruzione delle nuove case. Probabilmente nessuno, tra le persone che abbiamo incontrato, desidera vivere a Metropoliz, ma quello che si nota è una grande voglia di fare, di migliorare il luogo e di creare nuovi spazi per la vita collettiva, da parte di molti degli occupanti. Noi studenti di architettura siamo stati catapultati all’interno di un processo che è cominciato senza di noi e che sarebbe, probabilmente, proseguito anche senza il nostro intervento. Dovevamo rendere vivibili due luoghi: uno destinato all’area gioco dei bambini e l’altro destinato ad accogliere un’ aula di italiano. Il fatto di aver verniciato di giallo le finestre, di aver rivestito una parete o di aver costruito dei banchi non è stato secondo me importante, perché, con molta probabilità, l’appropriazione delle parti della fabbrica su cui abbiamo agito, sarebbe avvenuta ugualmente da parte degli occupanti, se non per l’aula, per fare altre cose. Tra gli abitanti di Metropoliz ci sono persone in grado di fare quasi tutti i lavori necessari per rendere accoglienti gli ambienti della fabbrica; ed in effetti, prima del nostro arrivo, erano stati ripulite altre due stanze ed un’altra, non prevista come ambito di intervento, è stata liberata dalla sporcizia dalle donne dell’occupazione, su loro iniziativa, durante la nostra permanenza. Il ruolo che secondo me abbiamo avuto, e che ha dato un senso alla nostra presenza, è di “catalizzatore”, per aver accelerato la creazione di spazi collettivi e di “collante” per essere riusciti a coinvolgere quelle persone che, quegli spazi collettivi, non avrebbero mai pensato di frequentarli. In realtà siamo serviti poco a Metropoliz, che, invece, di rimando, c’ha donato tantissimo, insegnandoci che la casa non deve essere per forza un tempio per accogliere il calore della famiglia; che è meglio avere uno spazio pubblico arrangiato, ma pieno di persone, piuttosto che uno strabiliante, ma vuoto; che progettare stando di fronte al computer senza conoscere i desideri e i pensieri delle persone è un errore oltre ad essere una grande occasione persa a livello umano.
ciao Agnese,
RispondiEliminabrava, bel post, anche se arriva un po' tardi al punto (il nostro ruolo come catalizzatore e collante) e ti lascia quindi un po' a corto di parole per la conclusione.
Bene che all'inizio noti l'organizzazione 'ferrea' del Metropoliz: perché pensi che questa sia impostata come tale?
Alla fine parli degli insegnamenti che questa settimana ti ha dato: sono d'accordo su spazi pubblici e su progettazione partecipata... Per ciò che riguarda la casa ti invito a dare un'occhiata al post di Michela e a confrontarti un po' con lei se ne avrete voglia... Penso che il concetto di abitare è stato sicuramente messo in discussione in questi giorni, ma forse fermo restando il 'calore della famiglia' (con tutti gli innumerevoli significati che la parola famiglia può avere).
Ti faccio una domanda sul nostro ruolo: in assenza di 'catalizzatore' e 'collante' cosa accade? Sono d'accordo con te che il luogo vive di vita propria, che forse quegli spazi sarebbero stati sfruttati comunque, ma cosa cambia con il nostro intervento?
Giorgio