sabato 20 novembre 2010

Quel mondo alla fine del mondo… (di Alessandra Romiti)

Non penso sia possibile esprimere attraverso poche parole ciò che credo di aver fatto mio durante questa esperienza. Nonostante il passare dei giorni, mi rendo conto di essere ancora in preda ad un processo di acquisizione di consapevolezza, che si sta delineando pian piano in me e che sta cercando ordine fra il caos di pensieri ed emozioni che è chiaro che mi abbiano colpita. Quello che ho scritto è un discorso che fa riferimento sia a riflessioni di carattere personale che ad altre di carattere professionale. Ed è su quest’ultime che preferisco e ritengo più consono concentrarmi.
Fin dai momenti del primo approccio con il luogo e la comunità che lo vive, mi sono chiesta come, in così poco tempo, potessimo realizzare qualcosa che avrebbe lasciato a quei bambini e ai loro genitori una nostra traccia. Mi sono resa conto di esser stata ossessionata, almeno inizialmente, dall’ idea che fosse necessario raggiungere un obiettivo che identificavo con un prodotto visibile e tangibile da chiunque, senza capire che invece, la cosa davvero importante per noi, ma soprattutto per loro, fosse mettersi tutti al servizio dell’altro, ognuno con le proprie competenze e con i propri mezzi, uniti da uno scopo comune, per alimentare il senso di condivisione e collaborazione che distingue gli abitanti di Metropoliz da chi li ritiene solo gente che vive ai margini della legalità!
Ed ora, contrariamente ai primi giorni, penso anche che giungere lì digiuni di qualunque tipo di informazione sia stata la scelta migliore che si potesse fare, perché questo ha permesso a ciascuno di noi di prendere coscienza di priorità personali, che è giusto stabilire in base alle proprie reazioni, di fronte ad una realtà che è profondamente diversa da quella che viviamo quotidianamente e da quella che ci propinano i media.
Sarò pure retorica e un po’ idealista ma ora so che nelle nostre braccia e nelle nostre menti è nascosto il potere di demolire il pregiudizio, quello di abbattere gli schemi in cui la società ama rinchiudersi. Possiamo decidere se continuare a crogiolarci nel nostro dolce far niente oppure continuare a dare il nostro contributo affinché questi luoghi abbiano un futuro concreto, il cui significato possiamo già leggere in quegli occhi pieni di idee, entusiasmo e di speranza.

2 commenti:

  1. cara Alessandra,

    molto bene... ottima la tua crescita durante la settimana, dal 'lasciare una nostra traccia' ad una visione più ampia dell'intero processo partecipativo.
    Giungere lì digiuni è stato un bene, forse sì... però attenta a pensare che funzioni sempre... Penso che una analisi (da verificare poi sul campo, certo) degli attori coinvolti in una situazione del genere vada sempre fatta. Per capire chi è chi, chi vuole cosa, come possiamo permetterci di relazionarci con qualcuno.
    Molto bella la conclusione, brava. Continua a ragionare, se vuoi, sul nostro ruolo nella produzione di conoscenza verso questi luoghi (è un tema uscito anche in altri posts... confrontatevi!)

    Giorgio

    p.s. se sprechi un quarto delle parole per dire che è impossibile esprimere tutto ciò che pensi in 'poche parole'... grrrrr ;)

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  2. mi è piaciuto moltissimo, rende bene l'evoluzione del tuo pensiero durante il workshop da studente a cittadina a forse architetto-artista civico (è una professione?).
    si lo so che il mio metodo di metervi di fronte alla realtà cruda è un pò violento. ma insegnare per me è soprattuto questo: mettervi nelle condizioni critiche in cui dovete fare appello più ad innate e istintive reazioni che non spiegarvi ore che cos'è la città multiculturale e perchè è importante. spero solo che poi veramente il secondo passo, quello dell'approfondire teoricamente e comprendere il contesto culturale in cui si opera, lo facciate da soli. non sempre succede e allora meglio che rimanga l'esperienza diretta che aver letto un buon libro.
    molto bene
    il prof

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