“Ut nihil non iisdem verbis redderetur auditum”. (Plinio, Naturalis Historia)
“…Nulla di ciò che è stato ascoltato può essere raccontato con le stesse parole” e nulla di ciò che in questi giorni è stato vissuto con tanta intensità e trasporto, può essere imbrigliato in una sequenza di pensieri o logici ragionamenti. Da un caotico “magma iniziale” però, grazie al trascorrere dei giorni, si sono delineati dei “fuochi”. Degl’input di riflessioni personali che, autonomamente rispetto a Metropoliz, tracceranno strada nel nostro bagaglio di conoscenze e nella nostra vita.
Come studentessa di architettura e come persona, mi rendo conto di essere abituata a percepire il mondo tramite la ragione. Procedure razionali e analisi astratte, sono i metodi di approccio privilegiati nella mia formazione universitaria per l’indagine di problemi architettonici. La mente, e con essa mi riferisco anche alla fantasia e alla creatività, è la chiave di lettura della realtà che mi circonda.
In questa settimana ho riscoperto “l’azione” come strumento di indagine. L’agire e il contatto diretto con le cose, ha gettato nuova luce su due concetti chiave anche in architettura: lo spazio e il tempo. E’ di quest’ultimo che vorrei parlare: del “tempo dell’ agire”.
Uno dei presupposti di base di ogni nostro intervento, era il breve lasso di tempo in cui esso si doveva realizzare.
Tale “tempo dell’agire”, più lento e cadenzato di quello del pensare, ha permesso di scatenare un processo di conoscenza e cooperazione tra le persone. Ogni attimo non è andato sprecato. Ogni giornata è stata proficua poiché abbiamo abbandonato i ritmi spasmodicamente veloci che caratterizzano ogni relazione nella nostra epoca, ritornando tramite l’azione ad assaporare ogni istante e a divenirne totalmente padroni.
In ogni intervento (la barca per i bambini,la piazza di Michelangelo ecc..) coesistono a mio avviso due differenti caratteri: da un lato la valenza fisica e funzionale dell’ oggetto e dall’ altro
l’acquisizione di un significato simbolico che risiede nel tempo della realizzazione e nei processi
partecipativi da esso derivanti.
Tutto quello che abbiamo lasciato a Matropoliz è dunque per me, un deposito di memoria. Non abbiamo costruito solo “cose”; abbiamo tutti insieme costruito ricordi e reso quegli spazi non solo accoglienti ma vivi.
GIULIA DE ROSSI
Roma, 18 Novembre 2010
cara Giulia,
RispondiEliminala citazione iniziale spiega molto bene l'impossibilità di un racconto oggettivo e completo di questa esperienza. Ottima la distinzione che fai tra ragione e azione, che ricorda molto quella tra 'being practical' e 'being strategic' dell'action planning (se fossi interessata posso passarti un paio di letture molto noiose).
Mi sono perso un po' verso la metà: il lasso di tempo è breve ma al contempo è lento? Capisco ciò che vuoi dire ma le due frasi forse non collimano benissimo. In ogni caso una domanda su cui riflettere può essere: come pensi sia possibile trovare un compromesso fra brevità dell'intervento e lentezza dell'agire? Può capitare a un certo punto di invertire il processo, pensando lentamente e agendo velocemente?
Molto bene che collochi la 'conoscenza' all'interno dell'azione e della partecipazione, e che vedi la partecipazione irrimediabilmente collegata a questo necessario rallentamento.
Alla fine (e se vuoi una critica, un po' troppo alla fine: la parola memoria la introduci nel titolo e riappare solo in fondo, ti sei tenuta un po' poche parole per tornare sul concetto centrale, lo fate tutti!) cogli quello che per me è forse il punto più importante della nostra operazione. Abbiamo costruito memorie, tracce mentali e cognitive che si ripercuotono poi sulla produzione spaziale. Il manufatto trascende il suo significato quotidiano e diventa simbolo di qualcosa che è 'oltre', allude a uno spazio 'altro' (chiedi ad Alessandra di girarti la lettura che le ho mandato se ti va).
Concludo con una domanda: secondo te cos'ha di particolare Metropoliz nella sua interezza riguardo alla stratificazione della memoria?
Giorgio